Una salsa non è un sugo
Il pesto genovese è una salsa a crudo, “battuta” nel mortaio (di marmo), strumento già noto agli Egizi (il calore dei velocissimi frullatori purtroppo ossida i polifenoli aromatici contenuti nelle foglioline di basilico). E un composto di formaggio ed erbe aromatiche figura già in un poemetto che fu erroneamente attribuito a Virgilio.
Geografia di salse
Della parola (pesto nel senso di pestato) non deteniamo l’esclusiva, esiste un pistou in Provenza, un pesto rosso in Sicilia (a Trapani…), un gras pistà in Padanìa… In Liguria deteniamo tuttavia la tradizione di molte salse, a cominciare dall’agliata, dal marò di fave, dal machetto di sardine o di acciughe (sorta di garum e di colatura), dalla salsa di noci per i pansoti, e da quella di pinoli per i corzetti della Val Polcevera, tirati con le dita a “8”, come microeliche. Circa la pianta basilico scriveva G. V. Soderini nel ‘500: “…serve nell’insalate da mescolame, e dà loro buon sapore e odore, essendo quest’erba odorosissima. E’ in uso per la salsa, e la fa eccellente accompagnato e pesto (pestato) con le punte de’ roghi. Ha di proprio il bassilico rompere il vento, mollificar lo stomaco, provocar l’orina, e far venire alle donne copioso latte”.
Le “keywords” del pesto
Nessuno viceversa “detiene” la sola ed autentica ricetta del pesto (l’attuale nasce più o meno coeva al ricettario di Giobatta Ratto del 1863), ma a parer mio gl’ingredienti fondamentali sono l’aglio (disinfettante quanto il sale è conservante) e il pecorino sardo… Il basilico invece, sin quando non sorsero le prime serre (anch’esse a fine ‘800), poteva esser sostituito da altri erbaggi e vegetali, maggiorana (persa) menta prezzemolo borragine spinaci fagiolini….
Oggi col pesto condiamo la pasta (trenette, mandilli, trofiette, picagge), i testaroli e gli gnocchi di patate, ma un tempo esso accompagnava agliatissimo (sorta di bagnet verd) i pesci e le carni, talora maleolenti, dato che la catena del freddo era ben al di là dal venire.
Mettiti all’opera
Se l’attività manuale ti rilassa, amico lettore, lavorare un bel pesto dentro un mortaio di Colonnata, non enorme né minuscolo, è rito – di un quarto d’ora o poco più (esercitandosi) – capace di donare al composto una “texture” perfetta. Un pestello di legno duro la cui forma combaci col fondo tondeggiante del mortaio ti garantirà meno fatica. Sappi che le famiglie nei secoli passati ne usavano a doppia testa, una – comprensibilmente – per pestare i preparati con aglio, che come noto rilascia note assai pungenti…
7 ingredienti per un capolavoro
Cominciamo, dunque: aglio privato di camicia e anima, pinoli pisani o comunque italiani (se usassi le noci bada di eliminare le pellicine amare), sale grosso marino, basilico genovese DOP giovanissimo (lavato e asciugato con “dolcezza”), parmigiano reggiano 18 mesi e pecorino sardo 10 mesi (la quantità del parmigiano è circa doppia rispetto al pecorino), e per ultimo tocco un elegante extravergine DOP Riviera Ligure versato con ragionevolezza e a filo. Verifica via via quel che fai, assaggia, non eccedere con l’olio, e se il pesto ti pare troppo denso potrai “allungarlo” con un cucchiaio dell’acqua dove stai ultimando la cottura della pasta, altri aggiungono un ricciolo di burro sopra la pasta… Dopodiché abbine cura, sia nel gustarlo (gli ingredienti debbono esser di qualità) che nel conservarlo (in tal senso, al supermercato punta i prodotti freschi, senza eccesso di conservanti).
Quando avrai terminato la preparazione, puoi pulire il mortaio con un minimale risciacquo tiepido e qualche goccia di limone o d’aceto. A quel punto, ti farà da…fermaporta!
Il vino nei calici
Last not least, quali vini abbinare al pesto? Beh, la sua aromaticità esige un bianco con tenue nota “vegetale”, in Liguria v’è la mediterraneità del Pigato della riviera di ponente, e fuori Liguria la Malvasia secca, il Sauvignon, eventualmente il Riesling…, hai l’imbarazzo della scelta, in base alle tue predilezioni e all’area in cui vivi. Buon pesto genovese e buon brindisi da Umberto Curti (fammi sapere!)